E’ importante, impegnativo e di certo non indifferente il primo film della (al solito) sofferta selezione francese di Cannes 2008. E non poteva essere altrimenti: l’Arnaud Desplechin di UN CONTE DE NOEL è sempre stato il cineasta dei nodi famigliari, dei legami generazionali, del gruppo di attori indagati nell’intimo di una complicità che spesso travalica il personaggio stesso. Qui, in una situazione che richiama un po’ quella di uno dei primi film del regista, LA VIE DES MORTS, ci siamo in pieno: due maturi genitori dei quali Catherine Deneuve è colpita da un forma di malattia che solo un trapianto potrebbe guarire, tre figli con rispettive consorti o compagni, qualche nipote, zii e cugini, tutti in attesa della cena natalizia e di un futuro incerto nel quale l’avvicinarsi della vecchiaia o l’ipotesi della morte sono affrontate con un tono disincantato che costituisce una delle originalità del film. Desplechin organizza nel tempo e nello spazio di una affascinante Roubaix innevata quella molteplicità di psicologie e di mini-vicende con una maestria innegabile.
Certo, siamo sempre dalle parti di un certo cinema intellettuale: con dei solchi imposti a priori e non proprio imprevedibili, il Natale come resa dei conti dei legami dell’intimo, il trapianto come passaggio anche metafisico dell’affetto, l’incontro fra la realtà della vita e l’intreccio del romanzo, l’aggressività e la tenerezza. Ma, con la stessa mutevolezza e fertilità di una colonna sonora ricchissima (dal jazz di Cecil Taylor a Vivaldi, dalla techno a Charlie Mingus) quello di Desplechin è il cinema dal respiro largo che, se non sempre identificazione suscita rispetto e ammirazione.